«Ramy ti amo»
Ramy vive in mezzo a noi.
So che la frase dovrebbe essere “Ramy vive e combatte insieme a noi”, ma nella realtà è “Ramy vive” la scritta che più leggiamo ogni giorno sui muri noi che nel Corvetto viviamo, noi che il Corvetto viviamo.
È così, che appunto, Ramy vive con noi. Ci accompagna proprio per certe vie. Sui muri delle popolari leggi il suo nome scritto con centinaia di grafie differenti. Qualche giorno fa ho pure incrociato con lo sguardo un “Ramy ti amo”.
Non so neppure se mi abbia stupito. Forse mi ha rubato un sorriso affettuoso. Come se si trattasse di un ragazzo amato da qualcuno e non un ragazzo ucciso amato da qualcuno. E non è proprio la stessa cosa.
Un anno dopo, un anno dopo e qualche giorno visto che il cuore di Ramy ha smesso di battere il «24 novembre 24», le indagini si sono chiuse e ora a giudizio andranno un po’ di persone. Due dovranno rispondere di omicidio stradale.
Il primo è scontato: è “l’amico” che guidava lo scooter, Fares Bouzidi. L’altro, molto meno scontato, è Antonio Lenoci, il carabiniere che guidava l’auto dell’Arma che inseguiva. Per lui l’accusa è concorso di colpa.
Uno sfrecciava in fuga, l’altro sfrecciava per la Milano semiaddormentata. Non aggiungo altro, perché la verità sarà quella processuale.
Il tribunale deciderà anche se gli altri imputati, tutti carabinieri, sono colpevoli di favoreggiamento, depistaggio, false informazioni ai pm, falso ideologico, lesioni. Porcherie, insomma, che se confermate macchiano in maniera indelebile una divisa.
Di più: un’eventuale loro condanna, implicitamente, confermerebbe che Fares Bouzidi aveva motivo di avere paura a fermarsi, a non fidarsi degli uomini in divisa. Insomma il contrario di quel che dovrebbe essere.
Aspetteremo la sentenza, il Corvetto l’aspetterà, sapendo che letta da qua la decisione dei giudici sarà, in sostanza, se secondo la legge italiana è giusto - o meno - che Ramy sia morto.
È giusto, insomma, che uno scooter che non si ferma allo stop sia inseguito a folle velocità per chilometri e chilometri in una città, fino al prevedibile triste epilogo? Epilogo che, è evidente, poteva essere ancora più drammatico.
Fares Bouzidi non è morto per un caso e per tanti casi, altri, non sono morti nella folle corsa da film. Quella che nei film fanno gli stunt-man in città di cartone e non nella Milano che non dorme mai. Che sempre vive.



