Piove per tutti
Lo so che un po’ ve lo aspettate e un po’ pensate: che palle l’ennesimo post su noi ricchi e loro poveri in fila alla mensa di carità.
Certo, a guardare quanti pasti potrò consumare con i resti del pranzo natalizio, la tentazione c’è. Però non è più quel tempo.
Nel senso che, certo, il congelatore è pieno di lasagne e altre leccornie, ma sono di meno. Meno di tutto.
E non è dovuto a una scelta — che so, la dieta o un consumo responsabile. È dovuto all’abitudine e, un po’, alla paura.
L’abitudine di una spesa che non è più quella di qualche anno fa, quando i carrelli, per quanto grandi, erano sempre insufficienti all’abbuffata settimanale.
La paura delle file alle mense di carità. Già, perché guardando le persone in fila, oltre alla solidarietà umana, si finisce per chiedersi: «perché io no?». «Perché io sono quello che passa in auto e li guarda dal finestrino sporco di pioggia, e non quello che, bagnato, guarda un uomo che lo scruta da dietro un vetro?».
Cosa è successo a loro che non è successo a me? Oppure, un po’ più inquietante: cosa è successo a loro che non è ancorasuccesso a me?
O forse non ci siamo accorti, come loro non si erano accorti, che improvvisamente al supermercato guardavi i prezzi. Che improvvisamente cercavi solo le cose in offerta. Che improvvisamente certi prodotti erano usciti dal paniere di tutti i giorni.
Usciranno — ammesso non siano già uscite — statistiche per dire quanto abbiamo speso in banchetti in queste settimane. Sicuramente saranno cifre stratosferiche, magari maggiori di quelle delle scorse festività. Ma nessuno peserà i sacchetti, nessuno conterà le cose acquistate, nessuno ci dirà che siamo più poveri. Che siamo in recessione.
Nessuno ci dirà la verità e noi continueremo a pensare a “loro” che sono in fila e a “noi” che siamo in auto. Invece siamo tutti sotto questa pioggia: ombrello più, ombrello meno.



