Pinelli, diciottesima vittima della stage di Piazza Fontana
Moriva questa notte, ma nel 1969, Giuseppe Pinelli. L’anarchico accusato della strage, che oggi sappiamo nera, di Piazza Fontana.
Un assassinio, comunque la si voglia raccontare, perché quando una persona innocente è fermata e si trova in una questura e da quella questura vola giù, è un omicidio e non serve neppure averne le prove.
Ma se uno avesse dei dubbi, ci pensa il questore di allora Marcello Guida, a fugarli. Alla stampa, infatti disse: «Improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto». Motivo? L’alibi che aveva dato si era rivelato falso.
Soltanto che l’alibi falso non lo era affatto, come poi venne accertato.
Licia Pinelli, la vedova di Giuseppe, aveva le idee chiare sulla dinamica: suo marito era svenuto in seguito a un colpo preso in una colluttazione con i poliziotti che lo stavano torchiando. Credutolo morto, per coprire il violento e illegale interrogatorio, era stato inscenato il “suicidio”.
Credibile? Sì, soprattutto per un motivo. Giuseppe Pinelli, che secondo il questore nel gettarsi avrebbe gridato “Viva l’anarchia”, non aveva in alcun modo tentato di proteggersi dalla caduta, nessun moto istintivo. Giù come corpo morto.
Se sappiamo tutto questo è grazie soprattutto alla cosiddetta controinformazione, i cittadini-giornalisti liberi che indagarono e pubblicarono.
I giornalisti non liberi bevvero ogni notizia - che oggi sappiamo falsa - ufficiale. Mi piace ricordare uno tra tutti, Bruno Vespa che, in diretta per il TG1, rivelò: «L’anarchico Pietro Valpreda è un colpevole. Uno dei responsabili della strage di Milano e degli attentati di Roma. La notizia, la conferma è arrivata un momento fa, qui, nella Questura di Roma».
Lo disse il 16 dicembre avallando la comoda “pista anarchica”. Inutile dire che Valpreda risultò innocente. La strage si rivelò nera e Vespa è ancora su Rai Uno.



