La favola del Natale
Servono gli scarponi per arrivare a Gesù neonato.
Non che sia lontano, ma la casa del bosco, davanti a cui ogni anno si materializza il mio presepe preferito, pretende che le scarpe di città vengano tradite.
L’aria di neve ha il doppio effetto, quello di far accelerare il passo e quello di rendere più natalizio il Natale.
Il sentiero ha, in quel certo punto, una biforcazione di cui ti accorgi se la sai.
Oggi, peraltro, è ancora più complicato “vedere l’altra via” perché i cinghiali hanno affrontato a muso duro il terreno che finisce per somigliare a un campo arato o, se non si riesce a scacciare i pensieri delle guerre in corso, a un campo minato.
Due passi e il presepe è lì. Modesto, piccino, eppure così accogliente nella sua semplicità.
Quest’anno non c’è vento e non devo neppure tirar su animali o pastorelli abbattuti.
Dobbiamo tutto a Pseudo-Matteo, si chiama così l’autore o gli autori anonimi che fecero quel testo che la tradizione spacciò per capitolo aggiuntivo del Vangelo di Matteo.
Nei fatti un falso o un sequel o un remake dell’originale più vecchio di settecento anni. Sotto il profilo della narrazione decisamente più figo.
A Pseudo-Matteo dobbiamo tutto il presepe. Ma proprio tutto, compreso, per intenderci, bue e asinello.
Tutto inventato? In realtà sì, perché dopo oltre mezzo millennio dai fatti non puoi che inventare.
Ma chi lo ha detto che le cose inventate non siano più belle?
Poi insomma, oggi è Natale, e dai… la favola un po’ ci sta.



